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Morenic trail 2013

14/10/2013
Facciamo due passi?

Facciamo due passi?

Non c’è il due senza il tre… così, in quest’anno nel quale mi ero ripromesso di non forzare troppo il fisico, mi iscrivo anche al Morenic Trail, in programma il primo sabato di ottobre.

La distanza totale è pari alla somma dei chilometri della Royal Marathon e del TMS “accorciato” di quest’anno. Il dislivello, per lo meno, è decisamente più contenuto.

Però tutti questi calcoli e confronti servono a poco. Saranno sempre 109 i chilometri da gustarsi in soluzione unica, dal mattino alla notte inoltrata, con l’incognita di non riuscire a completare il giro e quindi dover coinvolgere un qualche amico generoso a riportare le mie stanche ossa fino ad Andrate, a recuperare l’automobile.

Uno si iscrive e poi quasi si pente, però il dado è tratto…

E così arriva il giorno della partenza, preceduto dalle funeste previsioni meteo, che annunciano pioggia e freddo. Vabbè, un trail intero sotto l’acqua non l’ho mai corso. Male che vada, i prossimi bagnati sembreranno per certo più corti.

Il primo problema, prima ancora di partire, è la nebbia: una nebbia così fitta che nel centro di Andrate ho delle perplessità per raggiungere il parcheggio a monte del paese. Un po’ per caso e un po’ a memoria rintraccio i padiglioni enormi dove ritirare il pettorale.

Controllo materiali e breve briefing dell’infaticabile Stefano che ventila la possibilità di un meteo più favorevole. OK, staremo a vedere, intanto partiamo.

Allo start mi tengo prudentemente in fondo al gruppo: non conosco il percorso e non voglio certo rovinarmi le gambe subito. Al solito i velocisti guizzano avanti e noi bisonti dietro ad arrancare.

Da Andrate si scende, si scende, si scende, dapprima nella nebbia e poi sotto un cielo grigio. Qualche risalita veloce, da prendere con calma per non pagare poi tra qualche ora sfuriate che adesso sembrano quasi alla portata. Al primo ristoro di Magnano (km 13,6) si apprezzano gli sforzi dei volontari per assisterci in questa corsa. Qui, all’inizio del percorso, non dovranno patire il freddo della notte perché in poco tempo il gruppo sarà spostato. Caso mai avranno problemi di affollamento attorno ai tavoli di bevande e cibi.

L’ambiente circostante è molto vario: si passa dalle betulle giovani ai castagneti centenari, intervallati da conche sospese insospettabili dalla pianura, probabile dimora di antichi laghi intermorenici. Un laboratorio a cielo aperto della potenza e della fantasia del grande ghiacciaio balteo.

Quando il percorso inizia a spianare significa che si è quasi a Bertignano (km 20,9), al primo cambio di staffetta. Così è, infatti. Ritrovo l’amico Marco che segna i passaggi, assieme ad altri amici corridori in attesa del loro cambio.

La tappa successiva la conosco bene, l’avevo percorsa da staffettista quattro anni fa, alla prima edizione del Morenic. Secondo me è la più bella dal punto di vista del paesaggio: si snoda sui vigneti di Roppolo, entra nella città dipinta di Maglione, costeggia il castello di Masino e si inoltra nelle viuzze di Moncrivello.

In molti punti l’ambiente naturale è frutto del lavoro dell’uomo, come i vigneti di Roppolo, i frutteti di Maglione, i laghi circondati da prati a sfalcio molto “inglesi” e il placido scorrere del Naviglio di Ivrea. Dove aumentano le pendenze e anche dove le esposizioni al sole sono poco favorevoli si nota comunque la presenza di antichi terrazzamenti ormai coperti dalla vegetazione. Un tempo qui erano vigne, frutteti e pascoli, ora prosperano i rovi, le betulle e le acacie.

La tappa è nervosa e lunga, mi ricordo che avevo patito assai a suo tempo.

Il gruppo si sgrana, ci si distribuisce in base alla velocità che si riesce a tenere e pian piano si fa conoscenza di altri compari di avventura. Ad un certo punto tre ciclisti in mountain-bike mi fermano: Renato, Massimo ed Ernesto, venuti a incoraggiare me ed altri amici. Due parole, una stretta di mano, l’impegno a ritrovarsi nel corso della giornata. Momenti che alleviano dalla fatica – e da un certo tirare di un gluteo che non è ancora un dolore ma è già un fastidio…

A Masino (37,9 km) c’è il ristoro ufficiale, con controllo pettorali e verifica medica. Appena riparto mi chiama l’amica Luisa, che mi raggiungerà dalle parti di Maglione. Procedo di conserva con altri personaggi, tra cui la mitica Tea dell’uget, finché in mountain-bike arriva Luisa. Chiacchierando e corricchiando, attraversiamo Maglione, sfioriamo il bellissimo lago e arriviamo fino a Moncrivello e alla salita al santuario di Miralta (51,5 km). Da qui il percorso scende al Naviglio di Ivrea.

Discesa affollata oggi: corridori, ciclisti, cacciatori che fanno la posta ai cinghiali. C’è da tenere le orecchie basse e andare via veloci, fino alla piana alluvionale della Dora.

Qui c’è un tratto eterno, come ricordavo bene, in piano su strada sterrata, di fianco al Naviglio, fino a Ponte Dora. I chilometri sono già tanti e il fastidio al gluteo inizia a prendere le sembianze di un “doloretto”. Nell’attraversare il ponte cambiamo il versante idrografico del percorso, passando dalla sinistra alla destra della Dora Baltea. In pratica questo è il punto a quota più bassa. Ora, da qui, poco alla volta saliremo fino al traguardo di Brosso. A Mazzè (km 56,4) c’è il secondo cambio per le staffette. Come distanza abbiamo superato la metà; come dislivello ci resta ancora la salita della quarta tappa, da Ponte dei Preti a Brosso. Ma c’è ancora tempo per arrivare a calpestare la pietra del ponte. Foto di gruppo con gli amici ciclisti e riparto di slancio sul primo tratto asfaltato, ma mi devo fermare subito: il gluteo adesso si lamenta proprio.

Uffa, le gambe vanno bene, il fiato ed i piedi pure, ci si deve mettere un unico singolo muscolo a fare i capricci? Guardo l’orologio: chilometri ne ho già fatti, tempo ne avanzo ancora. Decido che camminerò a passo veloce, riservandomi di correre sui tratti in discesa.

D’ora in poi i saliscendi saranno numerosi. Salite nervose, discese ancor più nervose, su e giù per le colline moreniche da Mazzè fino all’imbocco della Valchiusella.

Primo step è portarsi dal livello della Dora fino all’altezza di Caluso, passando sopra alla galleria della Ferrovia Torino-Aosta (62,8 km). Poi c’è il miraggio del gran ristoro a Santo Stefano al Monte, a picco su Candia, al km 67,0. Punto che è il vero giro di boa del trail. Per arrivarci c’è una salita micidiale, dapprima su sterrato e poi asfalto, che ci consegna al ristoro. Qui è d’uopo fermarsi, mangiare un piatto di pasta e minestra, preparare la frontale perché si sta facendo buio. E’ meno d’uopo, ma molto appagante, approfittare dell’apertura della chiesa per esplorarne la cripta. I capitelli longobardi in pietra grigia, inseriti in un contesto romanico, trasmettono pace e grandezza con la semplicità e la potenza espressiva che soltanto questo stile può dare.

Arriva il momento di partire: mi aggrego a tre ragazzi di Milano e iniziamo i saliscendi che ci porteranno verso il prossimo cambio, al Ponte dei Preti. Da qui la strada è lunga e me la ricordo bene per averla percorsa in bicicletta con Renato, due settimane fa. La traccia si svolge sul sistema di creste che un tempo separavano le porzioni interne ed esterne dell’anfiteatro morenico. A destra lasciamo Mercenasco, a sinistra Orio e Barone. Salite, discese, tratti in piano nel bosco che poco alla volta diventa sempre più buio. Scendiamo alle Villate e qui mi fermo ad una fontana, lasciando procedere i milanesi. Nel raggiungerli imbocco una stradina cieca che dopo poche decine di metri muore di fronte ad un cancello: per fortuna finiva qui, la deviazione non è stata troppo lunga. Ritrovo la retta via e continuo nella notte sempre più incombente. Accendo la frontale. Scopro che sulle bandelle rosse del Morenic Trail hanno incollato un catarinfrangente che sarà molto utile più tardi!

Le gambe iniziano a lamentarsi, il nervo del gluteo “tira” nelle discese e nei tratti in piano, i piedi bruciano. Il fisico scricchiola, sarà opportuno che la testa subentri ad aiutare il corpo che vorrebbe mollare.

Passare sopra alla galleria della Torino Aosta (km 73,1) è un po’ come superare una barriera della mente: siamo nel Canavese in cui sono nato e cresciuto. Da qui un lunghissimo sterrato sfiora un complesso di massi erratici che bucano la notte quando li illumino con la frontale. Rovasina, cascina Dighera e infine Vialfrè (km 77,2). E’ ormai notte, il paese è deserto ad eccezione della famiglia di volontari che prepara thè, caffè, bevande e dispensa consigli e indicazioni.

Che atmosfera diversa rispetto a due settimane fa, quando proprio qui a Vialfrè con Renato avevamo dichiarata chiusa la perlustrazione del percorso e ci eravamo arresi allo spuntino offerto da Luisa!.

Chiusa la parentesi ristoratoria, riparto assieme ad altri due trailer lombardi. Discesa a località Pianezze e poi salita su sterrata fino al bivio di Santa Maria della Rotonda, sopra Agliè. Qui la strada finisce e ricomincia il sentiero che ho fatto moltissime volte in bicicletta. Tira e molla, sali e scendi, gira attorno a due enormi tralicci dell’alta tensione, sfiora la chiesa di Santa Maria dei Tre Ciuché e scende infine a Torre Canavese. Si entra nel borgo antico sotto al castello e subito ci si trova circondati da decine di sagome di cartone, raffiguranti i personaggi principali dei film di Fellini. Uno slalom artistico che meriterebbe più tempo e più luce! Infine, in piazza, ennesimo ristoro che arriva a proposito per concedere un attimo di tregua alle gambe. Siamo al chilometro 83,4. All’ultimo cambio non manca molto. A Brosso ci vogliono ancora più di 20 chilometri. Mentre ragiono su queste cose scopro che sono rimasto solo al ristoro: i soci sono ripartiti e nessun altro arriva. Mi rimetto in moto anch’io: ci sarà da salire alla chiesa di San Giacomo, poi di lì sarà tutta discesa fino al Ponte dei Preti. L’umidità si condensa davanti alla frontale, la luce è inghiottita dal bosco. Mi volto e vedo due occhi gialli che mi fissano. Volpe? Gatto? Tasso? Un secondo dopo suona il telefono: è Luisa che mi chiede come sto e dove mi trovo. Ci diamo appuntamento a Brosso. Prima o poi ci dovrò arrivare… è il modo più semplice per ritornare a Andrate!

La chiesa di San Giacomo (km 86,1) emerge di colpo dalla nebbiolina: mi fermo un attimo a sistemare le scarpe. Attorno nessun rumore e nessuno. Nonostante il buio totale, non mi sento inquieto, e neppure abbandonato. Che può capitarmi in un bosco?

Comincia la discesa verso il Ponte dei Preti. A tratti sembra di sentire la voce del Chiusella, giù in basso. Sentiero, poi sterrata nel bosco. La cascina Fantasia è illuminata come un’astronave. Poi si ritorna nel buio. Attraverso la strada di San Giovanni e scendo al Canton Piana dove raggiungo una coppia di ragazzi di Chivasso e San Benigno. Facciamo assieme gli ultimi chilometri fino al Ponte dei Preti, al km 91,4.

Controllo pettorali, relax, ristoro. Mentre sono seduto mi giro e vedo un colosso barbuto avvolto in una coperta blu scuro.

Tutto OK?”

Si. Aspetto la nostra staffettista. Io ho fatto la prima frazione e mi godo la corsa. Anche perché sono così distrutto che da qui non mi muovo più”

Buon riposo allora” gli dico mentre riparto con i due nuovi compari di salita.

Da qui è tutta salita, la ciliegina finale su una torta da 109 candeline. Il gluteo dolora parecchio in discesa e sul piano, chissà che a salire non cambi la musica.

Strambinello è deserto. Dopo un paio di chilometri tra le case e le vigne si entra nel bosco a Selva, di nome e di fatto. La strada sterrata guadagna la cresta sospesa tra Vistrorio e Parella. A Vignabella (km 96,7) il paesaggio si apre un po’, per richiudersi lungo la tagliafuoco. Da qualche parte dovremo trovare la strada che arriva da Pecco… eccola! Da qui percorreremo tutto l’altopiano di Nonani e poi discenderemo al lago d’Alice, ultimo ristoro. All’improvviso arriva quel che non ti aspetti: la nebbia. Una nebbia stretta, spessa, umida, che ci obbliga a rallentare e a cercare i catarinfrangenti appesi alle bandelle: santa provvidenza, e santa frontale! Pur avendone già a casa altre, per l’occasione ne ho comperata una ancor più potente, e sono stati soldi ben spesi. Al culmine dell’altopiano c’è la discesa, che di solito si fa correndo. Il gluteo stringe, le articolazioni piangono, i piedi urlano: prendo un passo veloce e va bene così, questa andatura mi consentirà ancora qualche chilometro di autonomia. Anche gli altri compari si comportano allo stesso modo.

Nella nebbia compare infine il ristoro del lago d’Alice (km 102,9). Santi subito gli eroi che restano qui, nel cuore della notte e per tutta la notte, a confortare noi corridori. Neanche il tempo di bere un thè caldo e ripartiamo: ci resta la micidiale salita al lago di Meugliano e poi gli ultimi chilometri verso il traguardo di Brosso. Sembra tutto facile, e invece no. Sono di nuovo solo, i due soci hanno preso il largo. Rispetto algi anni scorsi il percorso è cambiato, si passa per le case di Alice Superiore e poi si prende un sentiero che sale nel bosco. Procedo lento, usando la pila per individuare i catarinfrangenti delle bandelle. E’ facilissimo perdersi qui, ci sono tracce che si staccano a destra e sinistra della cresta, dove bisogna rimanere. Nel mezzo delle mie tribolazioni chiama di nuovo Luisa.

Dove sei?”

In un bosco intricato, sopra Alice”

Come stai?”

Come uno che ne ha abbastanza di stare nei boschi”

Ok. Ti veniamo incontro”

Basta questo a rincuorarmi? O forse la pendenza che molla, il sentiero che diventa strada sterrata?

Ormai è questione di testa, e niente altro. Raggiungo la strada tra Alice e Brosso. Se piegassi a destra arriverei a Brosso… ma no, se si fa una corsa come questa la si fa tutta, non si accettano sconti. Infilo un sentiero che a mezza costa conduce al lago di Meugliano (km 106,4). Nebbia fitta, male ai piedi. Il sentiero esce in un parcheggio, vedo due auto e soprattutto sento le voci di Luisa e Renato! Pacche sulle spalle, abbracci… non è il traguardo, ma con i due amici mi sembra di essere ormai arrivato. Giro del lago, rampa erbosa, breve discesa e infine asfalto. Nebbia. Asfalto. Cartello stradale “Brosso”. Prime case. Prato. Salita ripida ad un altare pagano dove una pentola di tintura rossa aspetta per colorare la faccia dei corridori: è il “Graffio Morenico”, il segno tribale di una strna iniziazione…

Ultime decine di metri e sono al traguardo. Qui è davvero finita. Foto, abbracci, altre strette di mano, medaglia da finisher. Uno sguardo al cronometro: 18 ore e 52 minuti. Più o meno il tempo che mi ero immaginato.

Ora.. palestra, doccia, vestiti di ricambio, sacco a pelo. Non ho fame, ho voglia di tirarmi lungo nel sacco a pelo e lasciare ad altri la posizione eretta.

Il Terzo Tempo.

E’ il tempo dedicato alla festa, al riposo del dopo corsa. Dopo 109 chilometri, per me, il terzo tempo è una doccia bollente, un cambio pulito, il salutare gli amici che hanno resistito fino a quest’ora ad aspettarmi e confortarmi.

Infilarsi nel sacco a pelo con le articolazioni delle gambe che cigolano, augurare buona notte ai vicini di bivacco e dormire al calduccio, nella palestra messa a disposizione dal Comune di Brosso.

Dormo come un sasso fino alle sette del mattino, quando i volontari della pro loco allestiscono le colazioni.

Nella luce del mattino intravedo andature doloranti e facce soddisfatte. Mentre facciamo colazione arriva l’ultimo dei runner, scortato dalle “scope”: 23 ore e 5 minuti. Complimenti per la costanza, sua e di chi lo ha accompagnato.

Alle 9 assistiamo alla premiazione di chi in poco più di dieci ore ha completato il percorso. Ci sono squarci di sereno tra le nuvole sempre più sfilacciate. Arriva la navetta che ci porta ad Andrate. Ultimi metri verso le auto, e poi ognuno si reca a casa. Un altro trail è andato, con il suo carico di fatica, dolore e incanto per aver portato così a lungo il piede a spasso nella natura.

Ecco il link al sito del trail e alla galleria delle foto scattate da Luisa.

4 commenti leave one →
  1. Anonimo permalink
    15/10/2013 20:50

    Bravo,,complimenti….. per aver portato a termine e per la descrizione !!!!!

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  2. 15/10/2013 19:49

    Ho letto …col fiato sospeso questa tua avventura!
    Straordinario, congratulazioni!

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  3. 15/10/2013 09:23

    Bravo nel descrivere la tua esperienza e bravo che ti sei cimentato anche nel Morenic Trail. Le foto parlano da sole.

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  4. besnik permalink
    15/10/2013 09:16

    Sei stato grandissimo.

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